La capacità umana di adattamento

La grande capacità umana di adattamento

L’importanza della flessibilità

La grande capacità umana di adattamento ai vari contesti che si sono succeduti via via nel corso della sua esistenza è una tra le più importanti risorse che ha permesso alla nostra specie di sopravvivere. E di impadronirsi del pianeta Terra.

E’ proprio questa capacità di adattamento che da sempre ci consente di far fronte alle difficoltà di un imprevisto. Ed agire secondo criteri inaspettati e spesso vincenti. In tempi lontanissimi dall’età contemporanea addirittura di diversificarci nel colore della pelle, lineamenti del viso, corporatura, linguaggio secondo diversità ambientali dei territori abitati. E di poter geneticamente trasmettere questi cambiamenti ai figli e ai figli dei figli.

L’accettazione e l’adeguamento intenzionale a ciò che non può essere combattuto ha consentito agli uomini di sopravvivere  in situazioni molto difficili: carestie, forti cambiamenti climatici, guerre, pandemie, migrazioni. Questa flessibilità  è un tratto che siamo in grado di osservare e sperimentare in molteplici situazioni. 

Una enorma impresa evolutiva

La storia stessa della cultura, della tecnica e delle arti appaiono come un grande processo di adattamento alle risorse e al contesto. Processo che ha visto l’immenso potenziale creativo dell’uomo manifestarsi nei mutevoli scenari del mondo nel quale viviamo. Siamo immersi, e a volte inconsapevoli, in questa continua  e enorme impresa evolutiva di cui siamo parte.

Se proviamo ad osservarci, sfuggendo alla “vertigine storica” resteremo affascinati da questa qualità che spesso lascia un segno che sconfina oltre la spiegazione della necessità pura e semplice. Dalla tenacia che possiamo desumere osservando le ricostruzione storiche delle palafitte, attraversando la squisita varietà della cucina dei popoli, alla complessa storia della mitologia greca messa a risposta dell’esigenza umana di permanenza (solo per fare un esempio).

La nostra storia è la storia dell’adattamento della specie più fragile ed inerme, a cui secondo Pico della Mirandola, il dono dell’intelletto è fatto per supplire proprio la sua inferiorità. 

L’adattamento alla pandemia Covid -19

Alla presenza di un evento come la pandemia dovuta al Covid, l’uomo ha messo in campo un’altra proprietà del suo carattere. Intimamente connessa con l’adattamento e la trasmissione culturale: l’apprendimento. 

Questo momento ci ha costretti ad imparare a navigare in uno stato di pazienza e obbligata quiete, di impossibilità a progettare, organizzare, decidere. Immobilizzati in una dimensione nella quale “non dipende da noi”, ci troviamo in attesa che “le cose tornino come prima”.

Ed a questo contesto di attesa, progressivamente, ci siamo adattati. Come?  Creando nuove personali modalità, progetti, soddisfazioni che escludano il contatto con gli altri. Che rispettino il distanziamento sociale. Che non ci addolorino con l’idea di aver perso qualcosa e che non facciano ricordare quanto le nostre vite sono cambiate.

 

L’abituarsi come risorsa

Alle situazioni di sofferenza estrema causata direttamente o meno alla pandemia di Covid-19, si affiancano realtà più morbide, gestibili. Contesti ai quali è possibile adattarsi. Realtà quotidiane per le quali la tecnologia e il web sono un’immensa risorsa, che ha reso la situazione attuale più accettabile.

Oppure casi in cui la pandemia ha  creato magicamente tempo da dedicare a noi stessi, ad una formazione rimandata per anni, alla cucina, ad una situazione familiare trascurata. 

Abbiamo imparato a convivere con un’interruzione delle attività di vita reputate normali, siamo stati flessibili.

Festeggiamo i compleanni via skype,  seguiamo lezioni su zoom, abbiamo trasportato la scuola dalle elementari alle università sul web, è nato il lavoro da remoto. Abbiamo imparato anche a gestire il senso di sperdimento quando spento il computer ci si ritrova soli.

Quando i nostri piani sono stati messi in stand by abbiamo  imparato ad essere più solidali con gli altri. Non solo, anche ad avere cura di noi con un garbo che forse fuor di pandemia non avremmo avuto. Siamo stati in grado di adattarci. Pur soffrendo per i sacrifici dovuti. Siamo stati in grado di ricollocare noi stessi nella nostra personale scala di valori, revisionare le nostre priorità, convivere con l’incertezza.

La normalizzazione del cambiamento

Il paradosso che si registra è che a distanza di più di un anno dalle prime avvisaglie mediatiche dell’esplosione dell’epidemia, sia la realtà che ci eravamo lasciati alle spalle ad essere quasi diventata estranea.

Una volta interiorizzata la misura del distanziamento sociale, che inizialmente trovavamo così stretta, non ci scopriamo forse a mantenere una distanza dall’altro in modo automatico e naturale. A percepire un senso di disagio quando non abbiamo spazio sufficiente per distanziarci?

La capacità umana di adattamento ai vari contesti che si sono succeduti via via nel corso della sua esistenza, è infatti una tra le più premianti risorse che la nostra specie possiede per sopravvivere. 

La capacità di adattamento ha consentito alla nostra specie di sopravvivere  in situazioni molto difficili: carestie, cambiamenti climatici molto forti, guerre, pandemie. La flessibilità umana una virtù che siamo in grado di osservare e sperimentare in molteplici situazioni. 

La storia stessa della cultura, della tecnica e delle arti appaiono come un grande processo di adattamento alle risorse e al contesto. Ha visto l’immenso potenziale creativo dell’uomo manifestarsi negli assetti del mondo nel quale viviamo, immersi e, a volte inconsapevoli, nella mastodontica impresa della vita di cui siamo parte.

Se proviamo ad osservarci sfuggendo alla “vertigine storica”, resteremo affascinati da questa qualità, che spesso lascia un segno che sconfina oltre la spiegazione della necessità pura e semplice.

Dalla tenacia che possiamo desumere, osservando le ricostruzione storiche delle palafitte,  grande qualità dell’uomo , attraversando la squisita varietà della cucina dei popoli, alla complessa impalcatura della mitologia greca messa a risposta dell’esigenza umana di infinitezza (solo per fare un esempio).

 

Noi la specie più fragile ed inerme

La nostra storia è la storia dell’adattamento della specie più fragile ed inerme, a cui secondo Pico della Mirandola, il dono dell’intelletto è fatto per supplire proprio alla sua inferiorità. 

Alla presenza di un evento come la pandemia che ci troviamo ad affrontare (non  unica nel suo genere, ma però percepita come tale), assieme allo sgomento, l’uomo ha messo in campo un’altra attitudine del suo carattere, intimamente connessa con l’adattamento e la trasmissione culturale: l’apprendimento. 

Questo momento ci ha costretti ad imparare a navigare in uno stato di pazienza e obbligata quiete, di impossibilità a progettare, organizzare, decidere.

Immobilizzati in una dimensione che “non dipende da noi”, ci troviamo in attesa che “le cose tornino come prima”.

L’ adattamento

Ed a questo contesto di attesa, piano piano ci siamo adattati. Creando nuove modalità di interazione  che escludano il contatto fisico con gli altri e che rispettino il distanziamento sociale. Che non ci addolorino con l’idea di aver perso qualcosa o che non ci forzino a ricordare quanto le nostre vite sono cambiate.

Alle situazioni di sofferenza estrema causata direttamente o meno alla pandemia di Covid-19, si affiancano realtà più morbide, gestibili, contesti ai quali è plausibile adattarsi.

Realtà quotidiane per le quali la tecnologia e il web sono un’immensa risorsa, che ha reso la situazione attuale più accettabile.

Oppure casi in cui lo “stato di pandemia” ha fatto apparire il tempo di dedicarsi a se stessi, ad una formazione rimandata per anni, alla cucina, ad una situazione familiare trascurata. 

La flessibilità

Abbiamo imparato a convivere con l’interruzione di attività di vita ritenute ovvie,  secondo la nostra personale abitudine. Siamo stati flessibili. Abbiamo imparato a festeggiare i compleanni via skype, a dare e seguire lezioni su zoom, a prendere parte a riunioni su meet.

Abbiamo imparato anche a gestire il senso di estraniamento quando spento il computer ci si ritrova soli. Quando i nostri piani sono stati messi in stand by abbiamo forse anche appreso come fare appello alla solidarietà, e la comprensione, nostra e degli altri.

Avendo cura di noi con un garbo che forse fuor di pandemia non avremmo avuto, siamo stati in grado di adattarci, pur soffrendo per i sacrifici dovuti. Siamo stati in grado di ricollocare noi stessi nella nostra personale scala di valori, revisionare le nostre priorità, convivere con l’incertezza.

Il paradosso

Dopo una fase di resistenza abbiamo messo in campo strategie utili per assicurare la sopravvivenza di una personalità nella quale riconoscerci, anche a costo di lasciar andare il “mondo del prima” e opacizzare “il mondo del poi”, trovando ognuno a suo modo il sistema per galleggiare nell’evento, nei suoi effetti, nel suo protrarsi. 

L’emergenza ancora in atto è diventata la nostra quotidianità, e facendo appello alla resilienza ci siamo impegnati nel restituire coerenza alle nostre vite, creando il “lato positivo della faccenda”, quello che ci consente di apprezzare la nostra esistenza e ci mantiene attivi attori della nostra realtà.  

E questa esistenza ha ragione di essere vissuta con la maggiore presenza mentale e dignità possibile. La sfida è mantenere la consapevolezza che la paura dell’ignoto era presente anche prima che il coronavirus la mettesse in primo piano, ed è presente ogni istante nella nostra vita.

Questa consapevolezza può aiutarci a dare un valore unico a questo “ogni istante” e a viverlo pienamente e profondamente, oppure a difenderci e ad anestetizzarci con il lavoro, la droga, la proiezione in un futuro su cui non abbiamo nessun potere, o il rifugiarci in un passato che ormai non esiste più.

La scelta è solo nostra.