Le convinzioni errate caratterizzano la nostra vita
e ci pongono dei limiti che spesso non esistono. Come
combatterle?
Quante volte ci siamo ritrovati a dire, “io sono così, non posso farci nulla”, “questo è il mio carattere”, “sempre stato così, ci sono nato”, “mi va sempre male, è il mio destino”.
Parole, pensieri che forse ci rassicurano, ma senz’altro ci limitano nel nostro essere nel mondo, e spesso ci creano non pochi problemi.
Ma da dove nasce questa credibilità che diamo a tutto quello che i pensieri ci raccontano, anche quando questo ci fa soffrire?
Il cervello umano
Il cervello umano è un organo veramente dispendioso rispetto al resto del corpo, rappresenta infatti il 2% dell’intera massa corporea, ma consuma, pensate, ben il 20% dell’energia a disposizione dell’intero corpo.
E questo in stato di riposo. Cioè mentre non facciamo assolutamente nulla, per esempio mentre ci godiamo il sole su una sdraio al mare, oppure osserviamo un bel panorama.
La componente che consuma la maggior parte della quota energetica del cervello infatti è l’attività neurale spontanea.
Cioè quell’incessante flusso di pensiero, quel chiacchiericcio continuo che talvolta sentiamo come assordante dentro di noi e talaltra appena percettibile, e che molto spesso purtroppo confondiamo con il pensiero intenzionale. Ma il peggior danno è che gli diamo credito.
Ci identifichiamo con esso.
Il cervello ha bisogno di “pensare” incessantemente
Ma perché il cervello ha bisogno di “pensare” incessantemente, e soprattutto cosa dice in questo suo continuo flusso?
Come ci suggerisce il neuroscienziato Oliver Sacks nel suo bellissimo libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”
<<Ognuno di noi è una singolare narrazione, costruita continuamente, inconsciamente, da noi stessi e dentro noi stessi, mediante le nostre percezioni, i nostri sentimenti, pensieri, azioni; e, non meno, dai nostri discorsi, dalle storie effettivamente raccontate. Biologicamente e fisiologicamente non siamo molto diversi degli uni dagli altri; storicamente, in quanto narrazioni, ognuno di noi è unico.
Per essere noi stessi dobbiamo possedere – o, se necessario, riacquistare – la storia della nostra vita. Dobbiamo ricomporci, recuperare il nostro dramma interiore, la nostra narrazione. L’uomo ha bisogno di questa narrazione interiore continua per mantenere la sua identità, il suo sé.>>
Cominciare ad osservarlo ci aiuta a comprendere come, momento per momento, costruiamo la nostra storia, ci definiamo, ci raccontiamo a noi stessi.
Inoltre ci possiamo rendere conto che è attraverso questa continua proliferazione automatica di pensieri su di noi, questa incessante ripetizione di rappresentazioni, (sotto forma di immagini, ricordi, proiezioni future) che incontriamo, interpretiamo e reagiamo agli eventi, alle altre persone, ai nostri stessi sentimenti.
Insomma iniziamo a diventare consapevoli che incontriamo la realtà non per come siamo veramente, ma recitando un ben preciso, ma spesso riduttivo, copione.
La luce della consapevolezza
Con la pratica di consapevolezza, portando la nostra attenzione momento per momento a questo flusso incessante, con pazienza, lasciando che i pensieri sorgano, attraversino il nostro spazio mentale e svaniscano, possiamo liberarci da questo copione ripetitivo che ci inchioda al già conosciuto.
Questo ci permette di aprire nella mente uno spazio di osservazione senza identificazione, che ci aiuta ad accorgerci che i pensieri sono solo pensieri e non realtà.
Ed accorgerci anche di come questi pensieri, se li confondiamo con la realtà, producano emozioni dolorose che a loro volta generano altri pensieri, in un circuito a spirale che potrebbe non avere fine.
La consapevolezza, è come una luce che ci permette di incontrare tutto questo qui ed ora. Come aprire un cassetto e semplicemente guardare cosa c’è dentro, oggetti del passato.
Così, ad esempio, possiamo riconoscere … “ecco questa è invidia”, andare a sperimentare dove la sentiamo nel corpo … come la sentiamo nel corpo, a quali sensazioni si associa … e lasciarla andare, oppure: “ecco la rabbia” …
Tutto questo senza identificarci, definirci con nulla di ciò che osserviamo.
Perché, ricordiamo anche questo: ciò che è sorto un attimo prima, un attimo dopo non è altro che memoria, è un qualcosa che non c’è già più, ma che rischia di distoglierci da ciò che è adesso, in questo momento … da ciò che siamo qui, in questo momento.