E’ possibile coltivare la pace nella nostra mente?
C’è una storia che viene raccontata. La storia della signora buona e della sua cameriera.
Questa signora era amata da tutti perché era sempre calma, gentile, comprensiva, non solo con i suoi pari ma anche con la servitù. Tutto il villaggio la considerava una bravissima persona e ne cantava le lodi.
Una cameriera di questa signora un giorno si chiese se non fosse così buona e gentile perché in fondo non le mancava nulla, e anche la servitù era molto disponibile e lavorava sodo e bene.
Decise allora di metterla alla prova. Il giorno dopo si alzò molto tardi, sorvolò sullo spolverare e rifare i letti, il cibo le venne poco saporito, e più volte si attardò a chiacchierare con gli altri domestici distraendoli dal lavoro.
Via via che passavano le ore, la sua padrona prima le chiese se stesse bene, poi cercò di incoraggiarla a fare meglio. Ben presto però osservandola in quella versione indolente cominciò a non sorridere più, ad essere sempre più irritata. Più la domestica diventava sfacciata e insolente più la sua pazienza diminuiva fino al momento in cui non ce la fece più e le tirò uno schiaffo.
La cameriera allora aprì la porta e richiamò i vicini per far vedere come poi tanto buona e gentile la sua padrona non fosse.
La nostra mente è fatta così.
A seconda delle circostanze sorgono stati mentali che ci fanno stare bene, in serenità, pace, gioia. Poi arriva una nuvola e si scatena il temporale: rabbia, paura, rifiuto, ostilità. E spesso ne siamo travolti.
Tutti noi abbiamo amici e nemici, persone gradite e persone non gradite, persone a cui vogliamo bene persone a cui non vogliamo bene, persone che ci stanno simpatiche e persone che ci stanno antipatiche. Preferenze
In base a cosa consideriamo qualcuno amico o nemico?
Generalmente questo deriva da come quella persona si pone nei nostri confronti.
Se è gentile, ci fa sentire a nostro agio, ci ammira, ci stima, dunque se si pone con una modalità di benevolenza nei nostri confronti, la nostra mente si predispone in modo naturale ad essere aperta e a volere bene.
Se la persona non si comporta come a noi piace, ci esclude, non ci dedica tempo e magari un poco di simpatia, o addirittura ci risponde male, questa persona diventa il nemico. Ci chiudiamo, diventiamo rabbiosi, timidi, indisponenti o freddi.
Le nostre relazioni, così come la nostra vita, sono condizionate da ciò che mi piace e da ciò che non mi piace.
Gli stati mentali difficili
Si dice che gli stati mentali difficili si possono presentare in tre dimensioni: la dimensione latente, la dimensione dei pensieri ossessivi oppure nella dimensione dell’azione impulsiva dannosa.
Come confrontarci con questi tre stati?
Per quanto riguarda il terzo stato non è possibile confrontarci. Ormai siamo stati travolti e completamente identificati abbiamo agito la rabbia, lo sconforto, l’invidia, la gelosia. Generalmente sono le norme etiche (o le leggi della comunità a cui apparteniamo) che ci aiutano a non cadere nell’azione dannosa.
La meditazione di consapevolezza ci aiuta invece nello stato che abbiamo chiamato ossessivo. Quella continua identificazione reattiva a ciò che accade dentro e fuori di noi che ci fa diventare vittime di stati mentali difficili e annulla tutto l’agio in cui potremmo trovarci.
Ci sentiamo pieni di rabbia o di paura. Sorgono invidia, vergogna, pensieri carichi di ansia. Tutti questi stati restringono moltissimo la possibilità di entrare in relazione con noi stessi e con la realtà.
La pratica di mindfulness permette di accoglierli con gentilezza ed interesse, di stare con essi senza agirli, di sperimentarli nel corpo. Ci aiuta piano piano a vedere come sorgono, quanto dolore ci provocano e come, di fronte alla nostra apertura e accoglienza, piano piano svaniscono. Così cominciamo a percepire che colui che vede non è ciò che vede e dunque a disidentificarci da essi.
L’equanimità
Ma come sradicare completamente questi stati anche allo stato latente? Il problema infatti è quando noi non vediamo, come la signora della nostra storia, la potenzialità della mente di generare stati mentali non difficili.
Come la consapevolezza ci permette di vedere quanto la nostra pace mentale è comunque condizionata da quello che accade dentro e fuori di noi, così la pratica di coltivazione dell’equanimità, ci permette di liberarci piano piano da questo condizionamento.
L’equanimità è quello stato mentale che non è condizionato dal mi piace – non mi piace, dall’avversione e dall’attaccamento. E’ la mente che “conosce” le cose come realmente sono, le conosce dalla loro parte, e non in funzione di un proprio interesse.
L’equanimità è il prerequisito della sapienza. Quella profonda, intima e incarnata saggezza della vita, realizzazione ultima dell’essere umano.
E’ questa innata spinta verso la sapienza che ci spinge e ci sostiene, con l’aiuto della presenza mentale, a coltivare equilibrio, stabilità e pace mentale.
La pratica della coltivazione dell’equanimità
Da buddismo riceviamo una pratica attiva che si rivela utile per aiutarci a questo. La pratica di equanimità (upekkha) consiste nel ripetere più volte lentamente alcune frasi dentro di noi per poter sostituire, piano piano nel corso del tempo, a percorsi mentali automatici e reattivi percorsi mentali scelti che portano pace ed equilibrio.
Le frasi sono:
La tua felicità o infelicità non dipendono dai miei auspici, ma dalle tue intenzioni e dalle tue azioni
Che tu possa accettare le cose così come sono
Che tu possa accettare te stesso così come sei.
Che io possa accettarti così come sei.
Che io possa accettare me stesso così come sono
Che noi tutti si possa accettare noi stessi così come siamo, che possiamo accettare gli altri così come sono.
Che tutti gli esseri possano accettare se stessi e gli altri esseri così come sono.
Consapevoli che accettare non significa che non voglia o non debba modificare (questo sarebbe subire) qualcosa che mi procura dolore, o lo procura a qualcun’ altro.
Significa che, per avere cura di me, prima è necessario, e quindi saggio, accogliere con sollecitudine, amore e pazienza ciò che poi posso trasformare proprio grazie alla responsabilità amorevole espressa dall’accettare.
©bp