Procrastinare è la tendenza a posporre ciò che ci interessa davvero.
Tutti noi sicuramente ci siamo più volte trovati a scegliere tra il piacere e il dovere, a volte ci siamo permessi di lasciar andare per una volta la severità verso noi stessi, altre volte invece abbiamo scelto di portare a termine ciò che era necessario rispetto ad un impegno preso.
C’è una “non azione” (per esempio il non portare a termine un compito che richiede concentrazione in un momento di stanchezza) che può essere molto saggia per il nostro benessere, ma, e al giorno d’oggi capita sempre più spesso, c’è una “non azione” che ha tutt’altra natura.
Il terreno del procrastinare
Il procrastinare nasce da un particolare stato mentale: uno stato di indolenza quasi ipnotica che ci porta a perdere tempo frammentandoci tra piccole azioni senza finalità.
Saltarellare tra un social e l’altro, sfogliare la pagina di un libro e richiuderlo, accendere e spegnere la televisione, uscire per una passeggiata, perdersi in chiacchiere, tutto meno fare quello che sappiamo dover e, paradossalmente, voler fare.
Tutto questo si chiama “procrastinare” , cioè rimandare ciò che deve essere fatto, e che a suo tempo ci porterebbe i suoi frutti, per una piccola e momentanea, gratificazione immediata.
Potremmo dire che il procrastinare scaturisce da un insieme di fattori cognitivi ed emotivi.
Una tendenza che esiste da sempre
Un tempo si chiamava pigrizia, ma oggi che la psicologia e, soprattutto, le neuroscienze hanno fatto passi da giganti possiamo comprendere in modo più approfondito i meccanismi neuronali di questi processi.
Anche se poi le ricette per aiutarci nell’impasse della procrastinazione sono i medesimi di cento anni fa.
Ne soffriva Pico della Mirandola che si faceva legare ad una sedia per costringersi a studiare, oppure Victor Hugo che incaricava il suo maggiordomo di togliere di mezzo tutti i vestiti eleganti per impedirsi di uscire a divertirsi nelle feste parigine.
Ma non tutti sono così e da questi due esempi notiamo che non è questione di disinteresse, ignavia, scarsa intelligenza. E allora?
La natura genetica del procrastinare
Vi sono alcuni studi (University of Colorado) che hanno messo in evidenza la natura genetica della procrastinazione.
Tutti noi abbiamo bisogno di gratificazioni perché questo a livello neuronale significa un buon rilascio di dopamina. Riusciamo anche però, se lo vogliamo a rimandare il piacere immediato per terminare ciò che stiamo facendo.
Le persone impulsive non ci riescono.
Ma dobbiamo stare un po’ tutti attenti a non lasciarci sedurre. Impulsività genetica a parte, c’è anche un’altra “legge” neuronale, la legge del “gatto che si morde la coda”.
Ogni volta che permettiamo all’attenzione di distogliersi in modo più o meno automatico da dove si trova per inseguire qualcosa che ci procura piacere, a motivo della scarica di dopamina diminuisce sempre di più la nostra capacità di controllo.
Insomma più dopamina ci diamo, più ne vogliamo, più procrastiniamo qualcosa che nell’immediato ci pesa. Diventiamo dipendenti dalla nostra stessa possibilità di autoprodurre piacere.
La scarsa presenza mentale
Ed eccoci allora ad un altro motivo, la scarsa presenza mentale. Cioè quella difficoltà a mantenere intenzionalmente l’attenzione sul compito che stiamo svolgendo, considerandolo non tanto un dovere che ci obbliga, quanto qualcosa che vogliamo fare e che per noi è utile e importante fare.
E dal quale quindi, in virtù di questo, già potremmo trarre una una certa qual soddisfazione (dopamina), che via via alimenti la nostra intenzione di applicarci. Corteccia prefrontale (intenzione, attenzione) e sistema limbico (sensazione piacevole) cooperano.
La mente vagante
E ancora, la testa troppo piena di pensieri, la mente vagante viene chiamata. Fantasie, ricordi, progetti, desideri, una immaginazione che ci allontana da dove siamo per portarci in una sorta di un piacevole ambiente autocreato a misura nostra sempre più lontano da dove siamo realmente.
Oppure il rimandare, il far finta di niente scaturisce da un senso di inadeguatezza, dalla paura di sbagliare e delle conseguenze che ne possono derivare. A volte davanti all’imbocco di una strada un esercito di pensieri, sempre più rigidi, più foschi, più agguerriti ci bloccano.
Un esercito di “se” e di “ma”. Pensieri pieni di paura, di sfiducia sulla nostra capacità che ci fanno accontentare di ciò che abbiamo rinchiudendoci nel nostro “io minimo”. Essere il meno possibile di ciò che potremmo essere. Dare a noi stessi e alla vita il meno possibile di ciò che potremmo dare.
Una buona notizia
Continuando potremmo trovare molto altro ancora, ma qualsiasi sia il problema se davvero lo desideriamo, è possibile uscirne, con un aiuto adeguato. E’ possibile sostenere e rafforzare l’intenzione, l’attenzione, la consapevolezza, riuscire a comprendere ciò che per noi è importante davvero e dare a questo la priorità.
E soprattutto non dover sentire mai più quel senso di urgenza, di pressione e senso di colpa che ci coglie quando poi arriviamo al dunque.
Essere cioè protagonisti della nostra vita e non come una fogliolina impaurita spinta dai venti ora qui, ora lì.
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