Hikikomori: gli eremiti della camera da letto

Hikikomori: gli eremiti della camera da letto

In questo articolo “Hikikomori: gli eremiti della camera da letto” mi  riferisco ad un fenomeno sociale, nato in Giappone  negli anni ’80, che recentemente sta interessando anche l’Italia. E che purtroppo viene ultimamente sottovalutato a causa della necessità di uscire il meno possibile per il Covid 19. In questo articolo vediamo cos’è e che rimedi può offrire un percorso di cura.

Il termine giapponese Hikikomori  deriva dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”. Letteralmente significa “stare in disparte, isolarsi”. In Giappone i soggetti affetti da questo disturbo sono definiti “eremiti della camera da letto”.

Con questo termine ci si riferisce a quanti, la maggior parte di essi sono maschi giovani, spesso giovanissimi, scelgono volontariamente di non uscire più dalla loro camera e di non avere più nessun tipo di contatto con altre persone. E questo per anni e anni.  I pasti vengono loro spesso lasciati dietro la porta chiusa. Gli orari sonno sono veglia totalmente invertiti. Di giorno dormono e si svegliano ed entrano in attività solo al tramonto. Le finestre sono chiuse e gli unici rapporti sociali avvengono tramite computer.

L’Hikikomori fa parte delle cosiddette “malattie invisibili”. Quelle di cui spesso non si parla perché non si conoscono fino in fondo, o perché chi le vive non ammette di avere un problema. A volte è la società stessa che ancora non ha imparato a classificare certi malesseri come delle vere e proprie malattie da curare.

Spesso viene confuso il fenomeno dell’Hikikomori con la depressione, l’ ansia generalizzata o la dipendenza da computer. In realtà  l’ Ikikomori questi “eremiti della camera da letto”, è da indagare come fenomeno a sé perché segue delle caratteristiche specifiche. Tanto che che spesso gli esperti stessi sono riluttanti anche a chiamare “sindrome”.  Preferibile considerarlo un “disagio adattivo sociale”.

 

Come si riconosce il fenomeno dell’ Hikikomori

A livello internazionale non esiste una definizione precisa di hikikomori, ma il Ministero della Salute giapponese ha già stilato una lista di quelli che sono i sintomi di questo disturbo che sembra avere dei propri tratti specifici.

Tra i sintomi evidenziati vi sono i seguenti:

  • Vivere gran parte del tempo in casa propria evitando di uscire e di entrare in contatto con contesti altri esterni alle mura domestiche.
  • Interesse basso o nullo nei confronti di attività che si svolgono fuori dalle mura domestiche, comprese la scuola o il lavoro.
  • Vita asociale non inferiore a sei mesi
  • Mancanza di relazioni interpersonali con amici, colleghi e gruppo di pari
  • Il ritiro dalla vita sociale dell’hikikomori può essere correlato anche a disturbi psichiatrici più gravi come: ritardo mentale, depressione, schizofrenia, ansia, tutti problemi che possono contribuire ad aggravare la situazione psicologica del soggetto hikikomori.

Il problema sembra colpire dei soggetti con caratteristiche comuni quali:

  • età compresa tra i 14 e i 30 anni
  • estrazione sociale medio-alta
  • sesso maschile (nel 90% dei casi)
  • figlio unico
  • Generalmente questi ragazzi sono stati vittime di bullismo e di pressioni che hanno creato in loro un desiderio di ritiro e di isolamento.
  • Entrambi i genitori laureati. Il padre di solito assente nel contesto familiare e spesso con incarichi dirigenziali. Il che significa un aumento all’esposizione e alla vulnerabilità alla pressione di realizzazione sociale. Sia in Giappone che in Italia sembra proprio questa ultima caratteristica da considerare come causa prima dell’hikikomori (da Hikikomori di Marco Crepaldi).

 

Chi sono e quanti gli hikikomori in Italia?

Stando ai dati, in Giappone, vi sono oltre un milione di casi accertati. In Italia, invece, si stimano circa 100.000 casi. Spesso si tratta di ragazzi che non hanno nessun problema a livello scolastico, ma che dimostrano di avere poco in comune con i loro coetanei e si autoescludono dalla vita sociale come meccanismo di difesa alle numerose pressioni sociali della società capitalistica all’interno della quale sono immersi.

Marco Crepaldi, presidente dell’Hikikomori Italia, spiega che:

“L’hikikomori è il frutto di una società che esercita sui ragazzi una serie di pressioni che vanno dai buoni voti scolastici, alla realizzazione personale, alla bellezza fino alla moda”.

È evidente come un contesto del genere possa generare aspettative alte, ansia e di conseguenza senso di impotenza e paura di fallimento nei ragazzi che finiscono per reagire isolandosi nella propria bolla domestica dove ci si sente protetti e si può essere se stessi stando in compagnia solo di se stessi.

Crepaldi continua spiegando che è importante pensare a: “un progetto di sensibilizzazione e informazione corretta sul fenomeno. I media infatti, ma anche i medici, tendono a confondere con la depressione o con la dipendenza da Internet”. E’ fondamentale infatti evitare di confondere questo problema con patologie simili.

L’Hikikomori, infatti, non è dipendenza da internet. In Giappone, ancora prima dell’avvento dei personal computer, il fenomeno era già esistente. Inoltre, l’utilizzo di internet per i casi hikikomori è da considerare come un elemento positivo alla socializzazione proprio perché consente di stabilire relazioni sociali che diversamente non avrebbero modo di stabilirsi.

L’isolamento volontario del soggetto Hikikomori non è classificabile nemmeno come conseguenza di una depressione; tale considerazione errata sarebbe un’ipersemplificazione e generalizzazione del problema.

Infine, non si tratta neppure di semplice fobia sociale o agorafobia (paura dei luoghi pubblici aperti).

 

Hikikomori una forma di di moratoria psicologica?

Furlong (2008) ha spiegato il ritiro sociale dei giovani come una forma di moratoria psicologica, sulla base della teoria psicosociale elaborata da Erikson (1968).  Erikson infatti  considera il ritiro come una forma di coping che i giovani usano per gestire crisi evolutive della loro infanzia. Crisi rimaste irrisolte che impediscono loro, in età adulta, di individuarsi e coltivare l’intimità nell’ambito delle relazioni. Il fallimento di tali compiti evolutivi causa nei giovani una condizione di solitudine, che in casi estremi può portare all’isolamento sociale.” (fonte: https://www.rivistadiscienzesociali.it/la-sindrome-degli-hikikomori/)

È in quest’ottica che un problema simile può avere implicazioni sociali non indifferenti nella vita adulta del soggetto che ne soffre. Il disturbo d’ansia generalizzato, depressione, e fobia sociale possono essere problemi da affrontare come conseguenze al problema dell’hikikomori, non come cause.

Sembra sempre più impellente dunque, via via che il fenomeno, come i dati ci dicono,  si diffonde sempre di più, trovare un percorso di lettura e cura di questa chiusura sociale. Per aiutare chi ne soffre a vivere e crescere e a di migliorare la qualità della sua vita presente e futura.

Tanto più oggi che in periodo di chiusura obbligata a causa del Covid 19, l’impatto della pandemia sul fenomeno degli hikikomori rischia di rivelarsi molto negativo, con un sostanziale aumento dei casi e un aggravarsi di quelli già esistenti.

 

La possibile cura

La via di uscita non è facile, ma da quando il fenomeno è venuto alla luce (inizialmente vissuto in Giappone come una grande vergogna e dunque tenuto segreto), oltre a una maggiore attenzione  e ad una conoscenza sempre più approfondita del numero e delle problematiche dei ragazzi coinvolti, si stanno anche creando associazioni impegnate ad offrire ascolto ed aiuto psicologico.

In particolare in Italia l’associazione Hikikomori Italia attraverso il suo progetto di informazione sul problema, ascolto attento e non giudicante di coloro che si sono “ritirati in camera da letto”, aiuto ai genitori attraverso la creazione della onlus genitori, il costante scambio di esperienze con organizzazioni giapponesi  sta facendo un lavoro veramente importante per la comprensione di questo disagio fortissimo che coinvolge tantissimi ragazzi, sempre più giovani.

Rimando al loro sito e alla lettura del libro di Marco Crepaldi “Hikikomori. I giovani che non escono di casa“, Alpes editore, collana Psiche e dintorni, l’approfondimento su questo tema.  Consapevole che non esista tanto una cura, quanto un accompagnamento, sicuramente esperto, ma paziente e rispettoso, alla soglia di casa, per poterla attraversare. La cura non è uguale per tutti.

Che siano delle piccole variazioni del proprio ambiente, l’offerta di cambiare aria quando se ne senta il bisogno in luoghi disponibili 24 ore su 24, è essenziale però che ogni variazione sia proposta e non imposta. Ricordare che, nonostante l’apparenza, le scelte che facciamo avvengono per proteggerci, in primo luogo. L’esplorazione viene dopo. Dunque c’è bisogno di tempo per lasciare un luogo sicuro. E’ necessario rendere l’esterno sicuro e ciò che è sicuro non minaccia, non costringe, ma offre opportunità. Ognuno di noi, come un tempo lontano abbiamo affrontato una soglia ben più ardua con i nostri tempi, dentro di se mantiene il ricordo di potercela fare.

Potercela fare a trovare il proprio spazio e i propri tempi per inserirsi in questo mondo, purtroppo a volte cosi brutale, ma anche meraviglioso.

©bp

 

 

 

Author

Bianca Pescatori

Psicoterapeuta libero professionista ad orientamento psicodinamico e cognitivista.
 Ha collaborato e collabora con enti pubblici e privati per quanto riguarda la gestione dello stress attraverso i protocolli mindfulness Based e ricerche correlate, tra cui l’Università La Sapienza, dipartimento di psicologia e il policlinico dell’Università di Tor Vergata.