Il silenzio semina. Le parole raccolgono.
(Chandra Livia Candiani)
Il silenzio ciotola
Una delle più belle immagini che mi sia apparsa nella mente in analogia al silenzio è un esteso, immobile, freddo campo di neve. Un campo di neve pieno di meravigliose promesse primaverili, erba, fiori, grano. O come il ventre di una futura madre, custode di una nuova, giovane vita. Un quieto e nero brillante cielo notturno in pieno fermento creativo.
Spesso, nel corso della nostra giornata, siamo molto impegnati a parlare, spiegare, discutere, progettare, chiacchierare. Non ci soffermiamo mai ad entrare in intimità con “colui che che produce tutto questo”. Nasce così la paura, la paura del vuoto. E’ una paura antica, primordiale. La paura della separazione, dell’isolamento. E non ci accorgiamo che siamo noi che ci isoliamo da noi stessi. Attraverso un muro di parole, di suoni, di rumore.
Associamo il silenzio a privazione, assenza, non sapere, imbarazzo, separazione, freddo, non interesse, non contatto, punizione, giudizio. Oppure quando restiamo in silenzio è per mostrare dissenso, per offendere. A volte invece il nostro è un silenzio pieno di preconcetti e rigide convinzioni, arroccato in un rifiuto del nuovo. Un silenzio che non si apre alla meraviglia, all’accoglienza, ma è piuttosto un silenzio rifiuto che ci restituisce un falso senso di noi.
Diventiamo come un gatto che si morde la coda. Se ci disperdiamo sempre nell’energia della parola, il più delle volte compulsiva, dunque non scelta, è poi molto difficile tornare all’intimità con noi stessi, a quell’intimità con la mente così com’è. E sentirci veramente. Questo contatto richiede che la nostra attenzione, aperta e non giudicante (il giudizio è un pensiero che si fa parola) sia rivolta all’ascolto, a togliere ciò che riempie la “ciotola” che siamo. Invece la nostra attenzione è sempre rivolta al contenuto della ciotola senza cogliere che esso cambia in continuazione.
Il silenzio utile
Il silenzio di cui vi voglio scrivere qui ha tutt’altro significato. E’ un silenzio accogliente, cercato, consapevole. Un silenzio che si fa contenitore. Che consente di nascere a ciò che nasce. Un silenzio al servizio del nuovo, del non conosciuto. Un silenzio che trattiene quasi il fiato per non influenzare ciò che si fa realtà nel momento presente.
Il silenzio utile è quel tacere, quel vuoto che si riempie di ciò che sorge momento dopo momento e ci aiuta a vedere in modo nitido quello che c’è. Un silenzio pieno di attenzione e di sollecitudine. Un silenzio che si fa ascolto. E’ un modo di metterci da parte, di sospendere per un po’ l’idea che abbiamo di noi – che difendiamo sempre tenacemente – inevitabilmente errata. Errata poiché non si rinnova con il mutare della vita che scorre e ci arriva sempre in modo diverso. La vita che siamo e la vita che ci circonda.
Un’idea – la nostra di noi stessi – che spesso ci limita, ci chiude, ci impedisce di respirare a pieni polmoni per accogliere la realtà che siamo. Quella realtà più vasta, più fluida, mai uguale a se stessa che viviamo momento dopo momento. Ecco perché il cammino verso la sapienza significa iniziare ad attivare una attenzione – mi piace definirla così – innamorata della vita, comunque essa sia, e silenziosa.
Il silenzio accoglienza
Il silenzio allora diventa semplicemente uno spazio che accoglie ciò che c’è, ciò che sorge dall’esperienza di esistere. Ci restituisce la verità su chi siamo veramente, qui ed ora. Momento dopo momento. Non su chi crediamo di essere o su chi vorremmo essere.
Limitare la parola solo a ciò che è utile diventa una semplificazione. Ci toglie il peso della parola di circostanza, della parola vuota di significato, dell’obbligo di parlare per non cadere in vuoti imbarazzati. Non ci sentiamo obbligati ad intrattenerci con gli altri e neanche, cosa più difficile, ad intrattenerci con la nostra mente proliferante, quasi dovessimo farla “divagare”. Ci aiuta piuttosto ad ascoltare-ci e ad osservare-ci.
In questo modo la nostra energia non è impiegata nel parlare, nel convincere o nel difenderci, è impegnata nell’ascolto. L’ascolto del respiro, delle sensazioni che fluiscono nel corpo, delle emozioni che sorgono spontanee e danno forma alla realtà intorno a noi e dentro di noi. Nell’ascolto dei pensieri che sorgono nella mente per decidere consapevolmente quali lasciare andare e quali invece tradurre saggiamente in azioni appropriate e utili. Nell’ascolto di tutto ciò che i nostri sensi ci raccontano del mondo.
Del giorno e della notte, degli uccelli che volano silenziosi, degli alberi che respirano piano e si muovono secondo i venti, delle strade rumorose della città, del pianto di un bambino e della risata di un altro, di ciò che ci piace e di ciò che non ci piace, della sofferenza e della felicità, della vita e della morte. Il racconto della creazione è qui, in noi, dentro e fuori, la continua e sempre mutevole realtà che si fa e si disfa ininterrottamente secondo i tempi e le ragioni dell’intero universo.
Non è un caso che in questo momento storico, tanto caotico e rumoroso quanto imprevedibile, in cui non esiste più differenza tra il giorno e la notte in termini di attività, di produzione, di sviluppo (il mondo del fare), sempre di più molte persone stanno cercando momenti di pace e di silenzio in un significativo ritorno alle antiche discipline meditative di tutte le tradizioni spirituali.
La Meditation room all’ONU
Mi piace a questo proposito ricordare Dag Hammarskjöld – segretario dell’ONU dal 1953 fino alla sua morte nel 1961 e premio Nobel per la Pace alla Memoria – che progettò e seguì personalmente in ogni dettaglio la creazione della stanza per la meditazione al Palazzo delle Nazioni Unite così come la si può vedere ancora oggi, nella zona aperta al pubblico della Hall dell’Assemblea Generale. Al centro un blocco di pietra squadrata. Ricordo solo un pezzetto delle sue memorie nelle quali spiega perché fece questo.
Scrive “Ciascuno di noi ha dentro di sé un centro di quiete avvolto dal silenzio.Questo palazzo, dedicato al lavoro e alla discussione a servizio della pace, doveva avere una stanza dedicata al silenzio, in senso esteriore, e alla quiete in senso interiore….. La pietra in mezzo alla stanza ci ricorda anche ciò che è saldo e stabile in un mondo di movimento e di mutamento. Il blocco di materiale ferroso ha il peso e la solidità di ciò che durerà per sempre. È una memoria di quella pietra angolare di resistenza e di fede su cui deve basarsi ogni sforzo umano.
Silenzio e neuroscienze
Gli effetti benefici del silenzio non si limitano però solo ad aumentare il livello del nostro umore e della nostra tranquillità interiore. Che già sarebbe tantissimo per indurci a privilegiarlo nella nostra giornata e ad amare anche il beneficio del sonno notturno. Ma riguardano molto da vicino lo sviluppo e il mantenimento della nostra capacità cognitiva, della nostra creatività, della nostra apertura spirituale, della nostra capacità di ascolto e di relazionarci con i nostri simili e con i continui cambiamenti ambientali.
Riguarda dunque la nostra intelligenza e la nostra capacità di sopravvivenza.
L’anno scorso, dal 26 al 28 luglio nel Monastero di San Biagio a Nocera Umbra, l’Istituto di Ricerca di Neuroscienze, Educazione e Didattica (RINED) della Fondazione Patrizio Paoletti, in collaborazione con la Sapienza Università di Roma e l’Haifa University, ha organizzato la prima edizione della conferenza internazionale sulla neurofisiologia del silenzio. «Vari studi hanno dimostrato che la meditazione può produrre cambiamenti anche duraturi nell’architettura cerebrale, soprattutto se ripetuta regolarmente e per lunghi periodi di tempo»dice Filippo Carducci, responsabile del Laboratorio di neuroimmagini del Dipartimento di fisiologia e farmacologia dell’Università La Sapienza.
Secondo uno studio, portato avanti da Imke Kirste della Duke University, “due ore di silenzio al giorno solleciterebbero lo sviluppo cellulare nell’ippocampo, la regione del cervello collegata alla formazione della memoria, delle emozioni e dell’apprendimento. Gli scienziati sono fiduciosi: se la ricerca andrà avanti, forse si potrà scoprire un nuovo modo per trattare i pazienti che soffrono di malattie collegate alla regressione cellulare nell’ippocampo, come la depressione o la demenza.
Il medico e psichiatra giapponese T.Hirai ha indagato come la meditazione zen ha degli effetti positivi a livello fisiologiche nel corpo.
A) La frequenza del ritmo respiratorio si abbassa, si abbassa ancor di più di un normale stato di tranquillità.
B) il ritmo cardiaco rallenta e diminuisce il ritmo del flusso sanguigno in particolare in quelli degli arti inferiori e superiori.
C) il cervello emette onde cerebrali di tipo alfa e teta; la persona uno stato di calma.
Per finire un detto Zen:
“Il silenzio che precede la musica e quello che segue sono la musica”
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