La fase 2 e la “sindrome della capanna”

psicoterapia on line sindrome della capanna

Lockdown è una parola che negli ultimi mesi imperversa su tutti i media. La leggiamo sui titoli dei quotidiani, sugli articoli che troviamo in rete, sui numerosi post che scorriamo sulle nostre piattaforme social, la ascoltiamo durante il tg. Vittime, ancora una volta, degli anglicismi che ci riempiono la vita abbiamo imparato a definire questa situazione in cui siamo immersi “lockdown”, ma se ne cercassimo l’equivalente italiano scopriremmo che altro non è che una situazione di isolamento o blocco.

L’isolamento

A questo punto verrebbe da interrogarsi circa cosa possa comportare nell’essere umano un isolamento o un blocco, perché di questo si tratta. Un isolamento non volontario, ma obbligato da un virus di cui sappiamo ancora poco e che di conseguenza non possiamo ancora fronteggiare che ha portato le persone a vivere dei mutamenti emotivi, affettivi, mentali, continui e repentini. Il blocco fisico si è trasformato ben presto nel blocco mentale che ha attanagliato molti degli individui che si sono visti confinati nelle proprie case da un giorno all’altro.

Chiusi in quei luoghi privati che nel giro di poche settimane sono diventati, inevitabilmente, luoghi pubblici (seppur virtualmente parlando) al fine di non alimentare quel blocco mentale che aveva iniziato ad incatenarli non appena si sono visti negare la libertà di movimento. Da un giorno all’altro reclusi tra le mura domestiche.

Panico, angoscia, senso di insofferenza e frustrazione sono solo alcune delle emozioni che a primo impatto l’individuo ha provato. Poi però è subentrata la routine, anzi, una nuova routine.

La sindrome della capanna

L’uomo è un essere mutevole, si adatta facilmente al cambiamento per sopravvivere e allora per non lasciarsi sopraffare dall’ansia, dalla paura e dal risentimento ha iniziato a ridisegnare la propria giornata tra quattro mura.

Ci siamo reinventati, abbiamo scoperto nuove attività, ci siamo improvvisati chef, atleti, artisti, amanti della natura e tanto altro ancora. Abbiamo riscoperto angoli remoti della casa che avevamo completamente rimosso, abbiamo creato angoli nuovi nei quali rifugiarci, ci siamo coccolati come meglio potevamo e quasi quasi, dopo qualche settimana, questa nuova routine così comoda e rassicurante iniziava anche a piacerci. Lo smart working in pigiama, gli aperitivi improvvisati, tutte le serie tv da recuperare finalmente recuperate, le videochiamate infinite e la creatività a farla da padrone.

La fase 2

Poi però qualcosa è cambiato. La tv ha iniziato a parlare di “fase 2”, quella che stavamo aspettando da tempo ma che forse inconsciamente speravamo tardasse ancora ad arrivare perché è una fase di passaggio, è una fase strana e può essere pericolosa.

Ora possiamo lasciare con più facilità, ma non con troppa tranquillità, quel nido che per settimane ci ha avvolto e ci ha fatto sentire fortunati e protetti. Ora possiamo uscire fuori di casa con guanti e mascherine e mantenendo le distanze, ma possiamo finalmente uscire. Forse però non siamo più quelli di prima, quelli che dopo aver sentito il discorso di Conte circa il lockdown si sono sentiti agli arresti domiciliari.

Qualcosa è cambiato in noi.

Ora quasi quasi non vogliamo più uscire. Abbiamo paura e allora valutiamo con calma se è davvero necessario uscire. Dover indossare guanti e mascherina, essere costantemente vigili per riuscire a tenere la giusta distanza dagli altri ci provoca un certo senso di ansia. L’altro, il diverso da me, è diventato il nemico, una persona potenzialmente pericolosa per la mia incolumità. Tecnicamente questo senso di ansia e stress causato dall’isolamento ha un nome: sindrome della capanna.

Si tratta di quel senso di fatica che si avverte nel dover tornare a una sorta di normalità, o comunque nel dover cambiare, di nuovo, le proprie abitudini. La sindrome della capanna, o del prigioniero, si verifica spesso in quei soggetti che hanno trascorso una lunga degenza in ospedale. Dopo questa parentesi di vita così diversa dalla vita reale essi provano un senso di paura nel dover tornare alla vita di prima perché perdono i loro nuovi punti di riferimento, quelli che a fatica avevano conquistato durante quel lasso di tempo.

Senso di sperdimento e diffidenza

Allo stesso modo, dopo il lockdown, le persone si ritrovano a dover far fronte a questo senso di “sperdimento” nel rompere una routine acquisita e rassicurante. Cambiare le proprie abitudini, riadattarsi, richiede sforzo mentale e fisico, senza contare il fattore paura che attanaglia molti di noi. I luoghi chiusi diversi dalla nostra casa diventano ai nostri occhi potenziali focolai, così come l’altro diverso da me diventa un possibile untore.

Diventiamo diffidenti e camminiamo per la strada nascosti dietro le nostre mascherine con gli occhi bassi. Addirittura abbiamo paura di salutare chi riconosciamo perché non sappiamo ancora bene come comportarci nei suoi confronti. Insomma, lo scenario psicologico non è dei migliori.

Un contesto del genere mette a dura prova tutti, soprattutto chi è già vulnerabile perché soffre di disturbi quali: ansia, stress, depressione e simili che in un periodo come quello che stiamo vivendo non fanno altro che amplificarsi e far cadere ancora più giù nel baratro chi ne è affetto. Mantenere un contatto con la realtà diventa indispensabile per riuscire a gestire la propria vita nonostante i mutamenti drastici che ha dovuto subire.

È come esser stati catapultati in un videogioco apocalittico dal quale non riusciamo ad uscire e siamo costretti a giocare e a cavarcela come meglio possiamo.

L’importanza di chiedere aiuto

La “ Sindrome della capanna” colpisce sempre più persone, uomini e donne attivi, di ogni età. Parlare di questo disagio sociale con uno specialista potrebbe essere di aiuto.

Nelle ultime settimane anche la professione dello psicoterapeuta si è adattata a quelle che erano le norme da seguire per evitare il contagio. Ma già da tempo la psicoterapia online aveva una sua casistica clinica e consolidata. E’ approvata dall’Ordine degli Psicologi del Lazio, anzi in questo frangente auspicata, e ha la stessa efficacia degli incontri in presenza. Questo perché cambia la cornice, cambia il contesto, ma non la sostanza.

Nella psicoterapia online spazio del terapeuta e spazio del paziente si condividono, creando una relazione profonda e proficua. Anche la psicoterapia, come tante altre professioni, si può svolgere on line. La tecnologia, ancora una volta, giunge in aiuto di chi ha bisogno e decide di affidarsi a uno specialista. Farsi guidare nel  tornare ad uno stato di apertura e fiducia in un momento così particolare e difficile da vivere è molto utile.

Psicoterapia online e sindrome della capanna. Il primo passo

Se la Psicoterapia Online ti ha incuriosito, possiamo iniziare insieme. Contattami qui: bi.pescatori@gmail.com, ti risponderò il prima possibile. Scopriremo insieme cosa può funzionare per te e troveremo la modalità più utile di psicoterapia online per esserti d’aiuto subito e in modo efficace.

Author

Bianca Pescatori

Psicoterapeuta libero professionista ad orientamento psicodinamico e cognitivista.
 Ha collaborato e collabora con enti pubblici e privati per quanto riguarda la gestione dello stress attraverso i protocolli mindfulness Based e ricerche correlate, tra cui l’Università La Sapienza, dipartimento di psicologia e il policlinico dell’Università di Tor Vergata.