Sofferenza e Compassione

Il dolore è un errore?

La sofferenza e la compassione dovrebbero essere due facce di una stessa medaglia.

In tutti noi invece, annidata da qualche parte, sembra esserci la convinzione, anche se non ne siamo consapevoli, che la vita dovrebbe essere priva di dolore.

Come se il dolore e la sofferenza fossero un errore nella vita che noi conduciamo. Un nostro fallimento.

Ogni volta nell’incontrare situazioni di sofferenza, situazioni spiacevoli veniamo colti di sorpresa. Non ce le aspettiamo. Ogni volta ci sorprendiamo, recriminiamo, ci consideriamo sfortunati, inabili, e dobbiamo trovare un qualcosa dentro di noi o nella vita di sbagliato se … pur di negare la realtà di una sofferenza data a prescindere.

Il dolore c’è

L’essere umano è un essere sensibile, per questo proviamo sensazioni spiacevoli, ma è proprio per questo che proviamo anche sensazioni piacevoli.

Il dolore lo incontriamo tutti ed ogni volta ci viene riconfermato che il dolore fa parte della vita, come il piacere. Non c’è una situazione giusta e una ingiusta, una più frequente ed una meno frequente. Coesistono dolore e sofferenza, per lo meno nella nostra dimensione sensibile.

“Non c’è nulla che non vada nel soffrire tranne il non volerlo” dice Simon Weil nel suo volume “Attesa di Dio”.

La sofferenza aggiunta

Diceva Buddha in un suo discorso chiamato il discorso della freccia “l’uomo quando viene toccato da una sensazione dolorosa soffre, si affligge, si lamenta, piange battendosi il petto, entra in uno stato di grande confusione. Sperimenta allora due tipi di sofferenza: una sofferenza fisica ed una sofferenza mentale.  E’ come se fosse colpito da una freccia e subito dopo fosse colpito da un’altra freccia cosicché percepirebbe i dolori di due frecce” (La rivelazione del Buddha. Vol. 1: I testi antichi, I Meridiani. Classici dello spirito, Mondadori).

Rifiutare il dolore ci porta dunque una sofferenza maggiore. Può essere molto utile allora riflettere insieme quale è il modo più salutare per poter incontrare il dolore.

Come incontrare il dolore

Nella Filosofia Perenne – quel fecondo corpus di riflessioni  sul senso della vita che nel corso  dei millenni è arrivato fino a noi dalle principali tradizioni filosofiche e spirituali –  ci viene consigliato di coltivare una attitudine, la cui validità oggi viene confermata anche alla luce delle ricerche neuro scientifiche, per poter incontrare nel modo migliore la sofferenza. Migliore nel senso che non solo non produce sofferenza aggiunta, ma rende meno dolorosa quella già presente.

Questa attitudine è la compassione. E compassione vuol dire cuore e mente aperti per accoglierla nella sua realtà e prendercene cura totalmente. Se  viceversa togliamo lo sguardo dalle nostre ferite siano esse fisiche o emotive queste si infettano e vanno in cancrena.

Così la sofferenza non riconosciuta e non accettata genera altra sofferenza.

La compassione

La compassione, dice una insegnante di meditazione, Cristina Feldman, “è una gentilezza amorevole direzionata all’incontro con il dolore. Il dolore fisico e il dolore mentale, il nostro e il dolore dell’altro. La compassione è la capacità di essere con il dolore, è la qualità di una mente tenera e flessibile da cui la sofferenza può sentirsi avvolta, accolta”.

Per comprendere cosa sia la compassione, basta aver avuto tra le nostre braccia un figlio malato, o colpito nel cuore da qualche dispiacere. Un figlio a cui non possiamo togliere il dolore della sua esperienza, ma a quale possiamo solo stare vicino nella nostra impotenza.   Allora in noi sorge quella capacità,  disponibilità di stare insieme al dolore più totale, quell’andare incontro alla sofferenza senza riserve, senza se e senza ma che ci rende potentissimi nell’abbraccio compassione.

Coltivare la compassione

La resa alla sofferenza, sederci in mezzo alla sofferenza, senza allontanarci. Fare cioè l’unica cosa che possiamo fare se desideriamo essere presenti alla nostra vita.

In fondo questa è semplicemente la nostra condizione umana.  Lo stiamo già facendo in questo momento, nella nostra vita di tutti i giorni. Essere con la vita è anche diventare consapevoli di tutto questo e non fuggire nei mondi immaginari della mente.

Scrive Corrado Pensa (La Tranquilla Passione, Ubaldini Editore) “Ora il modo in cui ci si rivolge alla sofferenza è cosa di grande importanza […] Non riuscirete mai 
ad accostarvi ad essa se in voi c’è autocompatimento o se avete il desiderio di trovarne in qualche
 modo la causa, la spiegazione; questo è evitarla […]

Ma, se invece, giunti vicini alla sofferenza, voi 
la tenete, la guardate, non fuggite via, vedete quello che sta cercando di dirvi, vedete la sua profondità, la sua bellezza, la sua immensità, se voi rimanete così con essa, completamente, […] allora la sofferenza finisce”.

La presenza mentale

Allora proprio questa  presenza mentalediventa un fattore di protezione della mente dallo stress generato dall’evento traumatico e doloroso. Una mente protetta diventa più in grado sia di  generare auto-cura, che di rispondere positivamente alle cure mediche. Validato questo anche da diversi studi scientifici.

Coltivare questa capacità di presenza mentale, accogliente e sollecita alla sofferenza è indicata come intervento complementare di self-care clinicamente importante, con significativi effetti sia sul piano psicologico, riduzione delle risposte ansiose e depressive, della rabbia, dell’identificazione con la malattia, un aumento della fiducia, della gratitudine, del rapporto con se stessi, della spiritualità che sul piano fisico.

La compassione un fattore di salute?

A livello fisico sono stati misurate modificazione del livello di cortisolo, una più  efficace risposta immunitaria, endocrinologica, una migliore risposta alle cure, ad esempio alle terapie chemioterapiche e radiologiche con una considerevole diminuzione degli effetti collaterali, un miglioramento della qualità del sonno.

Per quanto riguarda il dolore alcuni importati studi notano una riduzione significativa (del 40-50%), a livello del talamo e della corteccia prefrontale, della risposta evocata dall’attivazione periferica delle vie dolorifiche e una interferenza sulla trasmissione dell’impulso nocicettivo che provocando un aumento dei livelli di endorfine circolanti, agisce controllando la componente emotiva associata alla sensazione dolorosa; inoltre un aiuto ad accogliere il dolore come un segnale separato dal suo contenuto affettivo attraverso la pura osservazione, della sensazione dolorosa periferica (sede, densità, colore, temperatura, oscillazione nel tempo) distinta dalle componenti emotive associate (impazienza, paura, rabbia, tristezza).

vedi studi scientifici vari

La bambina pugile

Mi fa piacere chiudere queste note di riflessione con dei versi di Chandra Livia Candiani

“L’universo non ha un centro,
ma per abbracciarsi si fa così:
ci si avvicina lentamente
eppure senza motivo apparente, poi allargando le braccia,
si mostra il disarmo delle ali,
e infine si svanisce,
insieme,
nello spazio di carità
tra te
e l’altro”

Da “La bambina pugile, ovvero La precisione dell’amore “ di Chandra Livia Candiani – Enaudi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Author

Bianca Pescatori

Psicoterapeuta libero professionista ad orientamento psicodinamico e cognitivista.
 Ha collaborato e collabora con enti pubblici e privati per quanto riguarda la gestione dello stress attraverso i protocolli mindfulness Based e ricerche correlate, tra cui l’Università La Sapienza, dipartimento di psicologia e il policlinico dell’Università di Tor Vergata.