La Saggezza è in questo nulla

La Saggezza è devozione

“La saggezza è in questo nulla” riguarda la mia vita.  Come tutti i cammini di ricerca in fondo più che la mia persona riguarda però l’anelito dell’animo umano alla ricerca della verità. E questo è qualcosa di universale, non di individuale. Prende tante forme, come ogni forma nella quale la natura si presenta è sempre diversa da un’altra.  In particolare questa storia che vi racconto riguarda il mio cammino verso la saggezza, prima di capire che è un cammino senza traguardo, poiché la saggezza è semplicemente essere consapevoli che stiamo esistendo, proprio qui, proprio ora.

Basta solo fermarsi e respirare. Non solo con i polmoni, anche con il cuore, con tutte le membra del corpo. Ancora di più respirare con la mente, con l’anima, con tutto il nulla che siamo. La saggezza è in questo nulla. Non fermarsi mai. Uscire da se e tornare a se, incessantemente, pacatamente, con fiducia e immenso amore. E guardarsi intorno. Ogni cosa che vediamo, ci piaccia o no, rappresenta l’essenza della saggezza.

Il segreto delle cose

Sono sempre stata spinta dal bisogno di scoprire, di sperimentare, di non contentarmi della superficie dell’esperienza. Volevo sentire, toccare fino in fondo, a volte anche prepotentemente, il segreto delle cose che incontravo, scoprire cosa le facesse essere quello e non altro. Ricordo che già all’età di sette/otto anni vivevo momenti molto intensi insieme alla mia prima guida spirituale (anche se allora non sapevo neanche che cosa fossero le guide spirituali). Si chiamava Madre Ceriana, era una suora ed anche preside della mia scuola elementare al Sacro Cuore di Firenze. Rivedo come se fosse oggi la sua stanza, gli scaffali pieni di libri, la finestra che dava sul cortile.

Io ero una bambina iperattiva, non riuscivo a stare ferma o attenta. In quei tempo i bambini che disturbavano si mandavano dal preside a calmarsi un poco. Così, spesso, nella sua stanza stavo seduta su una poltrona davanti la finestra e guardavo i campi ordinati, semplici e guardavo lei mentre scriveva. Poi, ogni tanto, lasciava i suoi impegni e mi raccontava qualcosa, con il suo sorriso morbido e accogliente. Quelli, per me, erano momenti di pace assoluta. La mia vita all’epoca aveva un andamento discontinuo, confuso, eppure avevo già una prima intuizione di quelli che erano due stati dell’essere estremamente differenti: il primo di perenne eccitazione emotiva, il secondo – quello che respiravo in un ambiente assolutamente “senza tempo” quale era quella stanza – di pura quiete. Il mio percorso, il mio desiderio di capire, di conoscere è cominciato lì.

L’impegno giovanile

Anni dopo ho iniziato a studiare prima medicina, poi scienze politiche, ancora confusa su cosa volessi veramente, ma questa confusione, seppure dolorosa, è stata molto importante perché mi ha spinto, senza che lo sapessi, a cercare la quiete e l’assoluta certezza di quell’antica stanza.

Continuavo così, sempre un poco spinta dall’urgenza, a portare avanti la mia ricerca spirituale: seguivo un percorso cristiano, e in questa prima fase, come in quelle successive, ho avuto la fortuna di incontrare maestri di grande spessore e sensibilità. Erano i tempi della teoria della liberazione, dei preti operai, dell’impegno politico e sociale. A vent’anni, ho iniziato a occuparmi come volontaria di bambini e ragazzi seguiti dai servizi sociali sotto la custodia del Tribunale per i Minorenni, che vivevano in case famiglia o in situazioni familiari problematiche. Inoltre partecipavo attivamente al movimento di liberazione delle donne incontrando realtà molto dure di sfruttamento e di violenza.

Gli studi formativi

Mi accorgevo che pur partecipando a tutto questo non mi muovevo su un piano unicamente sociale, ma piuttosto spinta dalla necessità di una comprensione profonda di una realtà così follemente complessa, e in particolare del funzionamento della mente umana, che a volte di umano sembrava non avere molto. Così pur essendo alla soglia della laurea (mi mancavano due esami) ho scelto di percorrere la strada per diventare psicoterapeuta, e in un binario parallelo, ho iniziato a frequentare diversi contesti spirituali. I miei primi due maestri di spiritualità furono due gesuiti molto diversi tra loro. Uno, Padre Fabrizio ci educava alla ricerca della giustizia, della solidarietà e dell’impegno sociale, l’altro, Padre Giuseppe Lombardo mi ha insegnato attraverso lo yoga, la meditazione e la contemplazione a entrare in me stessa. Non lo dimenticherò mai.

Dopo la laurea a la specializzazione in Psicoterapia ad indirizzo Corporeo Analitico Reichiano con il Prof. Federico Navarro, neuropsichiatra che insieme a Ola Raknes ha sistematizzato in Europa il corpus delle ricerche sull’analisi del carattere di Wilhelm Reich, ho frequentato per due anni un centro Zen, molto rigoroso dove ho assaggiato il famoso bastone.

Le esperienze meditative

Usava che il maestro ad un certo momento della pratica prendesse il suo bastone e passasse davanti a ciascun allievo aspettando di ricevere l’inchino di accettazione del colpo. La prima volta ero molto intimorita, ma feci semplicemente anche io l’inchino e ciò che ricevetti fu una vera sferzata di energia. Era una ottima maestra che dava a ciascuno ciò di cui aveva bisogno. La mia necessità di approfondire mi ha portata nel frattempo allo studio della Psicologia Transpersonale, all’avvicinarmi all’Advaita Vedanta e ai suoi maestri, alla meditazione del Testimone “chi è colui che”, alla lettura dei meravigliosi testi epici della raccolta delle Smti e allo studio della psicologia e religione induista.

Il tempo dello spazio dato alla ricerca spirituale, alla vita familiare, sociale e a quella professionale era però sempre diviso in tre, e dunque capivo che non era quella la strada, non la meditazione in sé naturalmente o la professione o la famiglia, ma il mio modo di procedere. I binari paralleli diventavano troppi!

Comprensione della realtà della vita, il portare questa comprensione anche nella professione come imprescindibile fattore di guarigione, e testimoniare questa comprensione attraverso il mio modo di essere nei rapporti familiari e sociali, questa era l’unica strada che avrebbe potuto portarmi a quella che Panikkar chiama “Sapienza”.  Quella saggezza che scaturisce dall’incontro intellettuale, conoscitivo e scientifico da un lato e affettivo, sofferto, amato, gustato con la vita tutta, così come si presenta, senza scartare niente, dall’altro. La saggezza  è dedizione e questa dedizione deve essere dunque portata ad ogni aspetto della propria vita.

Saggezza nelle relazioni terapeutiche

Non è facile. Leggevo, partecipavo a ritiri, continuavo a studiare e a riflettere. Ma in qualche modo mi sembrava di condurre due vite separate, difficile parlare dell’una, difficile portare con me nei ritiri l’altra.

Poi, grazie anche un poco ai tempi cambiati, sicuramente al sorgere dell’interesse delle neuroscienze sulla meditazione, sulle nuove scoperte del funzionamento del cervello, al lavoro di diffusione del Dalai Lama e di altri monaci buddisti, di diversa tradizione e di provenienza occidentale, in Italia al paziente, prezioso e generoso lavoro di Corrado Pensa fondatore dell’A.Me.Co.  ho cominciato a permettermi di incontrare con mente diversa i miei pazienti.

Una mente con in tasca naturalmente le conoscenze derivate dalle mie molte specializzazioni, da anni di analisi personale, e di esperienza professionale in molti contesti di sofferenza, ma nell’incontro terapeutico tesa a conoscere e scoprire più l’essere umano davanti a me che fare diagnosi, la sua unicità (non paragonabile a nessuno), la sua sensibilità, la sua sofferenza, il suo segreto appunto che faceva di lui “lui” e nessun altro, ed anche che lui avesse verso se stesso il mio stesso desiderio.

L’incontro con la mindfulness

Rimaneva il binario parallelo della mia quotidianità. Nella professione infatti ero stimolata dalla curiosità e dalla meraviglia; nella pratica nei vari luoghi di ritiro, guidata da Maestri a cui devo tutta la mia gratitudine, da questo lento sentire ogni volta qualcosa di nuovo, qualcosa di più, di un piccolo, quasi impercettibile, spazio che si apriva. Ma era come se questi rimanessero sempre oasi separate dalla vita di tutti i giorni.

Kabat Zinn mi ha aiutata, lui e la sua geniale idea di diffondere le pratiche di consapevolezza nel contesto della vita di tutti i giorni, strutturate in un percorso apparentemente breve, che aiuta semplicemente a toccare con mano, pazientemente e gentilmente, come si forma la sofferenza e come accoglierla trasformandola, rendendo così ogni istante della quotidianità una opportunità e un contino richiamo al “qui ed ora”.

La sua idea ha eliminato una sorta di cecità che mi bloccava. Così ho potuto vedere quello che prima non avevo visto. Rendere la vita intera l’occasione di coltivare ciò che fa di me, tra tutte le altre specie viventi, un essere umano. Dedicandomi  momento dopo momento, con serenità e senza fretta, alla consapevolezza equanime, so che posso sciogliere l’ultimo nodo.

Ho trovato la strada, ancora quasi tutta da percorrere, per poter coniugare quella antica pace senza tempo all’instabilità della mia mente. Una mente così reattiva agli stimoli di un mondo splendido e atroce al tempo stesso. Dedicare il mio tempo, il mio studio e la mia professione ad offrire questo strumento a chi cerca un poco di benessere, è stato un passo dovuto. Ed anche un ringraziamento a tutti coloro me lo hanno in una forma o nell’altra indicato. E questo nella speranza che possa trovare in verità molto molto altro.

Author

Bianca Pescatori

Psicoterapeuta libero professionista ad orientamento psicodinamico e cognitivista.
 Ha collaborato e collabora con enti pubblici e privati per quanto riguarda la gestione dello stress attraverso i protocolli mindfulness Based e ricerche correlate, tra cui l’Università La Sapienza, dipartimento di psicologia e il policlinico dell’Università di Tor Vergata.